p.
Gabriele di S. Maria Maddalena OCD
Piccolo
catechismo della vita di orazione
Il P. Gabriele
- Carmelitano Scalzo belga - è vissuto per moltissimi anni a Roma, dove ha
esercitato la direzione spirituale e ha impartito insegnamento di teologia
spirituale.
Fu
autore di molti scritti (assai noto il suo "Intimità
divina", meditazioni per ogni giorno dell'anno, la cui edizione originale
dopo il Concilio Vaticano II è stata purtroppo rimaneggiata e farcita di
citazioni sia bibliche sia conciliari, e letterariamente trasformata in forma
impersonale).
Il testo
presente consiste nella raccolta di articoli apparsi sulla rivista "Vita
carmelitana" negli anni '30 e primi anni '40, e costituisce un denso
trattatello in forma catechistica (domande-risposte) riguardante la vita di
orazione.
Il metodo carmelitano di orazione non è
propriamente monastico (quello monastico è più centrato sulla lettura pregata
della Sacra Scrittura), ma poiché è stato usato con frutto da molti,
potrebbe essere molto utile a chi lo trovasse spiritualmente adatto a
sé.
a cura dei monaci della Abbazia Nostra Signora della Trinità - Morfasso
(PC) Italia
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sommario
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prefazione
Questo “piccolo catechismo”,
pubblicato in un primo tempo sulla rivista “Vita Carmelitana”,
fu accolto con vera gioia dalle anime pie, che vi trovarono luce e conforto. E
non poteva essere diversamente, poiché contiene la sostanza degli insegnamenti
con i quali, da circa quattro secoli, la Riforma teresiana dell'Ordine
Carmelitano ammaestra le anime nella vita di orazione. Sono gli insegnamenti di
santa Teresa di Gesù e di san Giovanni della Croce, raccolti e sviluppati dai
loro figli ed arricchiti da lunga e diuturna esperienza, i quali, rimasti finora
quasi del tutto nascosti tra le mura del chiostro, vengono messi in queste
pagine alla portata di tutte le anime pie. Questo “piccolo catechismo” infatti
è una divulgazione dell' idea e del metodo teresiano di
orazione mentale, idea e metodo troppo sconosciuti e dei quali
tuttavia si è potuto costatare tante volte il benefico
influsso.
Più volte i lettori di “Vita Carmelitana”
esponevano il desiderio di vedere raccolte in un libricino le lezioni
pubblicate nella Rivista; per soddisfare questo desiderio abbiamo prepa- rato la
presente edizione.
Abbiamo creduto opportuno introdurre nel testo delle lezioni alcune
leggere modifiche che lo rendono più adatto alle condizioni delle persone pie
che vivono nel secolo, ma non è stato cambiato nulla che riguardi la
sostanza.
Voglia la santa Madre Teresa di Gesù, la grande Maestra della vita di
orazione, ottenere l’abbondanza delle benedizioni celesti a tutti coloro che
leggeranno quest'opuscolo che si propone di nutrire le anime “col pane della sua celeste
dottrina” (Orazione liturgica della Santa).
Roma, nella festa
della Purificazione di Maria SS. 2 febbraio
1943
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CAPITOLO
I
l'orazione nella vita
contemplativa
1.
Che cosa è la vita
cristiana?
La vita cristiana è la vita
umana vissuta in conformità agli insegnamenti di N. S. Gesù Cristo, secondo i
quali dobbiamo ordinare tutte le nostre azioni a gloria di Dio, amandolo, ed
osservando le sue sante leggi. L'anima cristiana vive quindi “per
Iddio”.
2.
Che cosa è la Vita
contemplativa?
La vita contemplativa è una
forma di vita cristiana in cui si intende vivere non solamente “per Iddio”, ma
anche, “con Dio”. Non è riservata al
religiosi, ma può essere vissuta benissimo anche nel secolo. Essa, sì concentra
tutta nella ricerca dell'intimità divina e moltiplica perciò, durante il giorno,
i così detti “esercizi spirituali”. Questi sono, specialmente, esercizi di
orazione, i quali devono essere accompagnati da esercizi di mortificazione,
perché, dice santa Teresa di Gesù, grande Maestra della vita contemplativa,
“orazione e comodità non vanno insieme”.
3. Quale è il
posto dell'orazione nella vita contemplativa?
Nella vita contemplativa,
l'orazione occupa il primo posto e, praticamente, la vita contemplativa è vita
di orazione. Perciò gli Ordini contemplativi consacrano molto tempo alla
preghiera. Nella Regola del Carmelo, Ordine eminentemente contemplativo, il
precetto centrale è quello dell'ora- zione continua: “Stia ognuno nella propria
cella, meditando dì e notte nella legge del Signore e vegliando in orazione”.
Infatti i religiosi carmelitani hanno molti esercizi di orazione: due volte al
giorno praticano l’orazione mentale, assistono alla Santa Messa, recitano
l’Ufficio divino, atten- dono alla presenza di Dio durante il giorno, senza
parlare degli esercizi personali di devozione.
4. Che cosa è
l’orazione?
L'orazione è una
conversazione con Dio in cui noi Gli manifestiamo i desideri del nostro cuore.
L'orazione può essere vocale o mentale.
5.
Che cosa è l’orazione vocale?
L'orazione vocale è quella in
cui noi recitiamo una formula che esprime i nostri desideri; come per es. il Pater Noster, insegnatoci da Gesù
stesso, nel quale noi facciamo a Dio sette domande. Noi recitiamo questa formula
con l’intenzione di onorare Dio. Spesse volte non pensiamo parti- colarmente al
senso delle parole che pronunciamo, ma questo non impedisce che la nostra sia
orazione, purché la mente rimanga rivolta al Signore col desiderio di onorarlo.
Con simile desiderio di render loro onore, l'orazione si può fare anche ai
Santi.
6.
Che cosa è l'orazione
mentale?
Questa consiste nel parlare
“di cuore” a Dio, non più con formule preparate o imparate a memoria, ma in modo
spontaneo.
7.
Che cosa diciamo a Dio nell' orazione
mentale?
Anche in questa forma di
orazione possiamo manifestare a Dio tutti i desideri che abbiamo in cuore;
secondo gli insegnamenti però di santa Teresa di Gesù, un'anima contemplativa
preferirà dirgli che Lo ama, o che, almeno, desidera amarlo.
8. Perché parlare
specialmente di amore con Dio?
Perché l'amore è la sostanza
della vita contemplativa. Secondo santa Teresa, le anime contem- plative devono
divenire grandi amiche, amiche intime del Signore; e l'amore, appunto, fa
fiorire l’amicizia e introduce nell'intimità. Inoltre, santa Teresa vuole che,
andando all'orazione, siamo convinti che Iddio ci invita ad amarlo e che noi
andiamo a rispondere al suo invito.
9. Bisogna anche
“pensare” nell'orazione?
Non è possibile amare, senza avere qualche pensiero sull’oggetto amato.
Per amare Dio, bisogna pensare a Lui. Tuttavia il pensiero di Dio potrà variare
molto secondo i casi. Sarà una riflessione alquanto prolungata sull’amore di Dio
per noi, ma potrà essere anche un semplice ricordo dell'amabilità del Signore e
della sua bontà. Quindi, nell'orazione, pensiamo soltanto per amare, per nutrire
l’amore. Santa Teresa infatti dice che l’orazione consiste “non nel molto
pensare, ma nel molto amare”.
10.
Che cosa è
l’amore?
Vi è l'amore sensibile e vi è
l'amore di volontà. L’amore sensibile consiste in un sentimento che ci porta
affettuosamente verso una persona, e ci fa provare piacere alla sua presenza o
al ricordo di lei. L'amore di volontà consiste nel “voler bene” ad una persona,
per libera scelta e determina- zione della nostra volontà. Quando poi
quest'amore prende tutta l'anima, allora si vuole apparte- nere alla persona
amata e consacrare deliberatamente a lei tutta la propria
vita.
11.
Quale è il vero amore in una persona
umana?
L'amore di volontà; perché la
volontà è quanto in noi vi è di più personale. Nella volontà risiede la nostra
libertà, e con questa appunto noi ci diamo a Dio. Per questo Iddio chiede
all'uomo proprio il “dono della sua volontà”. In questo dono totale consiste la
piena consacrazione dell'uomo a Dio. L'amore sensibile è un complemento di
importanza molto secondaria. Non dipende, del resto, da noi provarlo, mentre
dipende da noi amare con la volontà.
12.
Perché desideriamo naturalmente
l’amore sensibile?
Lo desideriamo per la sua
dolcezza e perché ci apporta conforto e consolazione. Ma, appunto perché spesso
nell'amore sensibile cerchiamo noi stessi mentre con l'amore di volontà
cerchiamo Dio, Egli sovente sopprime in noi l'amore sensibile, per farci
camminare più decisamente con la sola volontà.
13. Di quale amore dobbiamo amare Iddio
nell'orazione?
Certamente d'un amore di
volontà, essendo questo più importante. Se l'amore sensibile vi si aggiunge,
invece di cercarvi il nostro compiacimento, profitteremo del suo aiuto per
rafforzare la nostra volontà nel darsi a Dio. Mancando l'amore sensibile
proseguiremo con la sola volontà.
14.
Come potrò occuparmi per un'ora
intera di questa conversazione amorosa col Signore?
Sul principio della vita di
orazione, molte anime vi incontrano grandi difficoltà e provano noia, oppure
sentono di dissiparsi. Bisogna, quindi conoscere, che il “far orazione” è cosa
che “si impara”. Per insegnare questo, i teologi carmelitani dediti allo studio
della vita di orazione, hanno costruito il loro “metodo di orazione
mentale”.
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CAPITOLO
II
il metodo dell' orazione
mentale
1.
Che cosa si intende per metodo di
orazione mentale?
Un metodo di orazione è l'insegnamento che ci spiega la maniera di fare
l'orazione agevolmente. Infatti ci indica i vari atti che dobbiamo fare l'un
dopo l'altro per riuscir meglio in questo santo esercizio.
2.
Esiste un metodo di orazione mentale
nell'Ordine carmelitano?
Sì, nell’Ordine carmelitano,
troviamo un metodo di orazione fin dagli inizi della Riforma teresiana. Fu
esposto e lo troviamo difatti nelle due più antiche Istruzioni dei Novizi, in quella spagnola (1591) e in quella
italiana (1605).
3.
Quale è l’origine di questo
metodo?
Questo metodo trae l'origine
immediata, dagli insegnamenti di santa Teresa di Gesù e di san Giovanni della
Croce; la sua, forma definitiva e concreta, però, fu data dai loro discepoli. Di
questo metodo daremo ora una spiegazione generale, per tornare sulle varie sue
parti nelle lezioni seguenti.
4.
Quante parti distingue il vostro
metodo, nell'orazione mentale?
Abitualmente distinguiamo sei
o sette parti o atti nell'esercizio dell'orazione mentale cioè: la preparazione
- la lettura - la meditazione (col colloquio affettivo) - il ringraziamento -
l'offerta - la domanda.
5.
Tante distinzioni non sono forse una
complicazione?
Questa distinzione delle
parti non complica la pratica dell' orazione mentale. Difatti le due prime non
sono ancora l'orazione, ma ne costituiscono come la porta d’ingresso; le tre
ultime parti poi, sono puramente complementari e facoltative; cioè, verranno
tralasciate appena non ne avremo più bisogno; l'orazione si riduce quindi
sostanzialmente alla meditazione, accompagnata da una conversazione intima col
Signore (colloquio affettivo).
6.
In qual modo intendere bene il metodo
carmelitano di orazione?
Per intendere bene il metodo
carmelitano bisogna tener presente l'idea dell'orazione mentale come è
presentata da santa Teresa; ossia che l'orazione consiste in una conversazione
intima col Signore, nella quale Gli parliamo specialmente di amore, rispondendo
al suo invito di amarlo. Le varie parti dell’orazione hanno per scopo di
condurci agevolmente a questa conversazione amorosa con Lui.
7.
Come giova la preparazione a questo
scopo?
La preparazione deve servire
a metterci vicini al Signore; non si può difatti parlare intimamente con una
persona se non essendole vicino. Dovremo quindi metterci alla presenza di Dio
con fede viva e nell’atteggiamento umile di un’anima che si riconosce figlia di
Dio.
8.
A che cosa deve servire la lettura
?
La lettura serve a procurarci
un soggetto per la conversazione affettuosa col Signore, conver- sazione che può
nutrirsi della considerazione di tutti i misteri della santa Fede e dei vari
doni e grazie da noi ricevuti dal Signore: infatti, in tutto ciò si manifesta
l'amore di Dio verso di noi; ma poiché non è possibile parlare ogni volta di
tutti questi argomenti insieme, con la lettura possia- mo scegliere il soggetto
di cui vogliamo presentemente occupare e rendere più facile la nostra
considerazione, seguendo le spiegazioni e le riflessioni del
libro.
9.
Perché
“meditare”?
La meditazione o riflessione
personale che noi facciamo sul dono divino o sul mistero che abbiamo scelto
nella lettura, serve a un duplice scopo: l'uno intellettuale e l’altro
affettivo. Lo scopo intellettuale è di intendere meglio l’amore di Dio per noi,
come si manifesta nel mistero o nel dono divino che consideriamo e cosi
convincerai sempre più dell'invito d'amore rivolto da Dio all'anima nostra. Lo
scopo affettivo consiste nel muovere la volontà all'esercizio dell'amore ed alla
sua manifestazione, rispondendo all'invito divino. La meditazione appare quindi
come la preparazione immediata alla conversazione affettuosa col
Signore.
10.
Come si passa dalla meditazione al
colloquio affettivo?
Questo passaggio non si deve
fare a un momento preciso, quasi matematicamente determi- nato, ma in modo del
tutto spontaneo. Facendo le proprie riflessioni in presenza di Dio e vedendo con
esse più chiaramente quanto questo Dio ci ama, l’anima si sente facilmente
spinta a dirgli a sua volta parole di amore. Anzi accade spesso che le riflessioni che faceva prima con se
stessa, le continui per qualche tempo rivolgendo la parola al Signore e questo
giova a farle prendere una coscienza più viva del suo amore per noi. Finalmente
però l'anima lascia, ogni considerazione per abbandonarsi pienamente all'
esercizio dell’amore ed alla sua manifestazione; passa cioè al colloquio
affettivo. In questo l’anima dice e ripete in mille maniere a Dio che Lo ama,
che desidera amarlo di più, che desidera provargli il suo
amore.
11.
E' importante questo
colloquio?
Il colloquio è
importantissimo ed è la parte centrale dell'orazione. In esso infatti si
realizza direttamente il concetto che santa Teresa aveva dell'orazione mentale
che consiste in una conver- sazione intima col Signore nella quale rispondiamo
al suo amore per noi. Perciò l'anima nella sua orazione, potrà occupare in esso
molto tempo e anche tutta l'ora.
12.
Quale scopo hanno le ultime tre parti
dell’orazione?
Le ultime tre parti o atti
dell'orazione cioè: il ringraziamento, l'offerta e la domanda, servono a
prolungare più agevolmente la nostra conversazione affettuosa col Signore. Non
sono infatti altro che atti affettivi più determinati, cioè vari modi di
manifestare il nostro amore.
13.
Quale è il nostro atteggiamento in
queste parti?
Nel ringraziamento
manifestiamo al Signore la nostra umile gratitudine per tanto suo amore verso di
noi e per i doni da Lui ricevuti. Nell'offerta, spinti dalla riconoscenza
amorosa, vogliamo dare anche noi qualche cosa al Signore. Nella domanda, o
preghiera, umilmente convinti della nostra indigenza e fragilità, e desiderosi
tuttavia di amare veramente il Signore, chiediamo il suo aiuto per riuscirvi ed
esser fedeli ai propositi formati nell'offerta. Questi atti sono quindi
veramente un prolungamento del colloquio affettivo, nato spontaneamente dalla
meditazione.
14.
Si deve osservare un ordine
determinato nel seguire queste parti dell’orazione?
L'ordine indicato sopra è
quello più logico; ma nell'orazione si può usare una grande libertà: possiamo
ordinare queste parti come riesce più spontaneo. Anzi, possiamo riprendere più
volte la stessa parte. Ciò vale anche per la meditazione e il colloquio
affettivo che possono, anche frequentemente, alternarsi in una stessa
orazione.
15.
Sono necessarie le ultime
parti?
No, questi atti sono
facoltativi. Infatti un'anima che può occuparsi sufficientemente nel colloquio
affettivo senza ricorrere ad esse, lo può fare senz'altro. Ma, nel principio
della vita d'orazione, l'attenzione dell'anima è spesso aiutata da una certa
varietà di atti; e in questo caso l'anima farà bene a ricorrere ad
essi.
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CAPITOLO
III
preparazione e lettura
l.
Vi sono forme varie di preparazione
all'orazione?
Gli autori carmelitani
sovente distinguono una duplice preparazione: la preparazione “prossima” con la
quale l'anima si mette in immediato contatto con Dio per iniziare l’intima
conversazione con Lui, e la preparazione “remota” con cui l'anima dispone le sue
potenze a raccogliersi agevolmente in Dio.
2.
Cosa si richiede perché le potenze
dell'anima siano disposte a raccogliersi?
È necessario che esse non
siano assorbite eccessivamente dalle creature, e che venga coltivata la tendenza
che hanno ad occuparsi di Dio. A procurare queste condizioni giovano i due
elementi che costituiscono la preparazione remota. Il primo elemento, poiché si
tratta di allontanare un ostacolo, è “negativo”; il secondo, diretto a procurare
una qualità, è “positivo”.
3.
Quale è l'elemento negativo della
preparazione remota?
Fuggire le distrazioni dello
spirito e gli attacchi del cuore. Perché la pratica dell'amore di Dio sia
facile, bisogna avere un cuore libero; questo richiede un grande distacco dalle
creature. Chi vuole amare molto, deve riservare a Dio il vigore e la tenerezza
del suo affetto e non disperderlo nelle persone e nelle cose, che facilmente
avvincono un cuore non custodito. D'altronde, la libertà dello spirito non si
raggiunge senza una grande mortificazione dei sensi che sono finestre aperte
sulle cose terrene, e della memoria che, con i ricordi, ci riporta nel mondo;
anzi lo spirito stesso deve evitare i pensieri inutili. Bisogna quindi
sorvegliare il cuore e lo spirito.
4.
Quale è l'elemento positivo della
preparazione remota ?
L'esercizio della presenza di
Dio, che cercheremo di rendere continuo, per quanto sarà possibile. Con questo
santo esercizio, che raccoglie in Dio il nostro pensiero e la nostra volontà,
noi conserviamo un certo contatto con Dio, anche tra le occupazioni più
materiali, e conversiamo sovente con Lui durante il giorno. La fedeltà a questa
pratica crea quindi, in noi, una certa facilità a parlare con Dio, come pure a
metterci in un più intimo contatto con Lui, nel che consiste la preparazione
prossima.
5. Quale atteggiamento spirituale giova più
all'anima per questo contatto con Dio?
L’atteggiamento di un'umile
confidenza, che ci mette innanzi a Dio nella posizione che maggiormente ci
conviene. Dio, infatti, è nostro Padre, ed Egli vuole che trattiamo con Lui da
bambini impotenti. Desteremo in noi il senso della nostra indigenza, col ricordo
dei numerosi falli che palesano la nostra miseria. Lungi però dal richiuderci in
noi stessi o dallo scoraggiarsi alla vista della nostra pochezza, cercheremo
rifugio nelle braccia di Gesù, che ci ha insegnato: “Senza di me non potete far
nulla”, invitandoci così a ricorrere a Lui. Perciò santa Teresa ci invita ad
esaminare, sul principio dell'orazione, la nostra coscienza, quindi a recitare
il Confiteor e a cercare poi la
compagnia di Gesù.
6. Quale è il modo più pratico per mettere
l'anima vicina a Dio?
Qualunque forma della
“presenza di Dio” è utile a questo purché si eserciti con maggiore applicazione
e intensità. Tuttavia due forme sembrano specialmente indicate per l'orazione:
il mettersi alla presenza della santissima Eucaristia (difatti facciamo
l'orazione innanzi al santissimo Sacramento), e il raccogliersi nella propria
anima, attendendo alle Tre Persone divine che abitano nell'anima in Grazia e si
offrono ad essa, per esserne conosciute e amate. Per cominciare quindi il
colloquio con “Dio presente”, ricorderemo il soggetto scelto nella
lettura.
7.
In che tempo si deve fare questa
lettura?
Preferibilmente prima di
andare all'orazione, cioè nel quarto d'ora che le nostre leggi ci concedono per
prepararci. Se però non avremo potuto prima, potremo farla sul principio
dell'orazione. Anzi, nelle comunità religiose, si usa fare una breve lettura ad
alta voce sull' inizio dell' esercizio di orazione mentale.
8.
A che serve la lettura “in
comune”?
Essa ha lo scopo di offrire
un soggetto di meditazione a chi ne fosse sprovvisto. Non vi è però obbligo
alcuno di servirsi del punto che viene letto. Abitualmente, infatti, le anime
vengono all'orazione col soggetto precedentemente preparato dalla lettura fatta
individualmente. Ma se, talora, il punto che viene letto ci attrae più che il
soggetto scelto, possiamo cambiare al momento, usando in ciò della più grande
libertà.
9.
La lettura deve sempre servire a
preparare un soggetto di meditazione?
Tale è la sua destinazione
originaria, e ciò la distingue dalla cosi detta “lettura spirituale”, che ha uno
scopo più largo: quello cioè di istruire nelle cose di spirito. La lettura di
cui parliamo, invece, serve a procurarci
immediatamente una verità, che penetreremo con la riflessione, per riportarne
una convinzione più profonda dell'amore di Dio per noi. Tuttavia, nelle anime
che non fanno più l'orazione in forma meditativa, ma che sono giunte
all'orazione che santa Teresa chiama “di raccoglimento”, o più in alto ancora,
la lettura non serve più a scegliere un soggetto, ma piuttosto a raccogliere
l'anima, disponendola soavemente a gustare nell'orazione il riposo in
Dio.
10. Quali libri dobbiamo scegliere di preferenza
per fare questa lettura ?
Ciò dipende dallo scopo della
lettura. Quando si tratta di trovare un soggetto di meditazione, potranno a
questo servire, oltre ai libri che sono apposite “raccolte” di tali soggetti,
tutti i libri spirituali che mettono in luce le molteplici manifestazioni
dell'amore di Dio per noi. Sarà bene però che ci serviamo di libri già
conosciuti. Quando si tratta di leggere unicamente per raccogliere lo spirito,
ogni scritto che spiri un intenso amore di Dio, potrà servire. Gli scritti dei
nostri Santi sono di questo genere. La scelta dei libri viene quindi
condizionata direttamente dallo scopo della lettura; ma dovrà influire in questa
scelta anche la cultura e l'età spirituale della persona. Libri troppo alti, sia
intellettualmente che spiritualmente, saranno poco intesi e procureranno
necessariamente aridità.
11.
Possiamo, fare la nostra lettura
anche sulle “vite dei Santi”?
Neppure
queste sono escluse, particolarmente perché molte anime si sentono commosse più
dall'esempio dei Santi, i quali hanno vissuta la dottrina spirituale, che da una
esposizione speculativa di essa. Bisogna badare però a non leggere spinti dalla
curiosità e a non prolungare inutilmente la nostra lettura. Perciò non conviene
leggere come preparazione alla meditazione una vita “nuova”, poiché questo
eccita troppo l'immaginazione. Sarà meglio contentarsi, possibil- mente, di
qualche profilo sintetico di una figura studiata
anteriormente.
12.
Come dobbiamo
leggere?
Bisogna leggere, prima di
tutto, con attenzione, poiché lo scopo della lettura è di “trovare” un soggetto
di conversazione col Signore. Perciò bisogna leggere anche con una certa
lentezza, altrimenti i soggetti adatti ci sfuggiranno; inoltre con “devozione e
raccoglimento” perché questa buona disposizione del cuore, accentuando in noi la
“ricerca” di qualche cosa di utile per l’anima, ci rende più attenti e più
“sensibili” alle buone idee. Potremo allora più facilmente prevedere i temi
fecondi ed anche preparare in qualche modo gli affetti che vogliamo esprimere e
i propositi che vogliamo fare. Tutto ciò senza troppo “legarci”, poiché lo scopo
della lettura non è questo, ma piuttosto di aiutarci semplicemente, secondo i
nostri bisogni. Aggiungiamo ancora che la lettura, se viene fatta in comune,
deve essere breve, per non dare noia a coloro che non se ne servono, e questi
sono molti.
13.
Possiamo riprendere la lettura
durante l'orazione ?
Questo non è escluso. Potrà
anzi essere indicato in qualche occasione particolare. Santa Teresa, infatti,
non andava mai all'orazione senza portare il libro con sé. Potremo talvolta
trovarci così distratti che il modo più pratico per ritornare al Signore sarà di
portare la mente a qualche buon pensiero, con la lettura. Anche quando nella
meditazione e nello stare col Signore l’attenzione è resa difficile da un po' di
stanchezza, è spesso opportuno tenere sotto gli occhi il nostro tema di
meditazione. Questo è un aiuto esterno per la nostra attenzione. Si badi però di
non trasformare l'orazione in una semplice lettura. Essa deve rimanere almeno
una lettura meditata, nella quale ci fermiamo per dare posto agli affetti e ai
propositi. Allora la lettura stessa diviene uno strumento della nostra
conversazione con Dio.
|
CAPITOLO
IV
la
meditazione e il colloquio
l.
La meditazione è trattata sempre
nello stesso modo negli autori carmelitani?
Negli autori carmelitani si
può notare qualche differenza nel modo di presentare la meditazione, ma nella
sostanza convengono tutti. Alcuni ne parlano senza distinguere i vari elementi;
altri distinguono dalla riflessione meditativa, il colloquio affettivo al quale
la riflessione conduce e chiamano questo colloquio “contemplazione”. Altri
infine, nella stessa parte meditativa, distin- guono la rappresentazione e la
riflessione. Chi non classifica, esplicitamente questi vari elementi, vi fa
tuttavia qualche allusione. Possiamo quindi affermare che, in maggioranza, gli
autori carme- litani distinguono tre elementi nella meditazione: 1) la
rappresentazione, opera dell'immaginazione; 2) la, riflessione, opera
dell'intelligenza; 3) il colloquio, opera principalmente della
volontà.
2.
In che cosa consiste la
rappresentazione ?
È
un'attività dell’immaginativa con la quale formiamo “dentro di noi”, cioè senza
avere presenti gli oggetti, una specie di quadro o di rappresentazione del
mistero che vogliamo meditare o, secondo i casi, degli oggetti sensibili dai
quali la nostra riflessione si innalza a Dio.
3.
A che cosa deve servire la
rappresentazione ?
Il suo scopo è di rendere più
agevole il lavoro della riflessione che naturalmente si appoggia, alle
rappresentazioni dell'immaginazione. Infatti riesce facile pensare alla
flagellazione, tenendone dinanzi un'immagine, la quale ha il vantaggio di
fissare in qualche modo la fantasia, che senza un oggetto su cui possa posarsi,
facilmente divaga, mentre la fissità della conoscenza immaginativa, aiuta a sua
volta quella della conoscenza intellettiva.
4.
È sempre necessaria la
rappresentazione ?
Gli autori carmelitani non
insistono molto sulla necessità di questo elemento della meditazione, ma
piuttosto ci indicano in qual modo possa essere utile. Questa, utilità è
evidente quando si tratta di considerare la vita di Cristo o dei Santi. Anche
nella considerazione dei misteri più astratti, come per esempio degli attributi
divini, l’intelligenza può partire dalle cose sensibili rappresentate
dall'immaginazione. Così possiamo, dalle bellezze della natura, innalzarci a
Dio, suprema bellezza. I teologi carmelitani distinguono, riguardo a questo, i
vari casi in cui si può trovare chi medita. Alcune persone hanno
un’immaginazione viva, capace di rappresentare le cose con facilità; altre
invece si sentono quasi incapaci di costruire una figura qualunque. Le prime
faranno bene a usare questa loro facilità di rappresentazione, mentre alle
ultime giova sapere che questo non è un esercizio da farsi ad ogni costo. Le
rappresentazioni immaginative per essere utili, non devono essere molto
perfette; una rappresentazione piuttosto vaga può bastare
all'intento.
5. In che modo si deve formare la
rappresentazione ?
Possiamo indicare tre regole:
1. Bisogna certamente impiegarvi la nostra attenzione, altrimenti
non si fa nulla dì serio, ma non occorre, tuttavia, eccitare troppo
l’immaginativa quasi per vedere “al vivo” il soggetto che vogliamo meditare.
Specialmente le persone che hanno l’immaginazione troppo viva cerchino di
procedere con grande semplicità, perché
altrimenti l’immaginazione potrebbe trarle in inganno e far loro credere che si
tratti di qualche “visione”.
2.
Per quanto riguarda la “perfezione” della rappresentazione, non è
consigliabile giungere a determinare i dettagli. Gli autori carmelitani hanno
anzi notato che a una persona dotata di poca immaginazione può bastare una
rappresentazione piuttosto schematica. Più utile è una rappresen- tazione
alquanto determinata, perché fissa più facilmente il pensiero. Gli autori
carmelitani non parlano mai della così detta “applicazione dei
sensi”.
3.
Non bisogna consacrare molto tempo a formare la rappresentazione; bastano
alcuni istanti, ma, naturalmente, potremo tenerla presente per tutto il tempo
della meditazione, e se possiamo farlo, ciò sarà anche utile perché gioverà ad
evitare distrazioni.
Concludiamo dicendo che, senza essere propriamente necessaria, la
rappresentazione è spesso utile, e l’anima che vi riesce è bene non si privi del
suo aiuto. Chi invece vi trovasse piuttosto impaccio potrebbe tralasciarla e
cominciare e senz’altro con la riflessione.
6.
È importante la riflessione o
“considerazione”?
La riflessione è il primo
degli elementi direttamente costitutivi della meditazione, che indica
propriamente un certo lavoro discorsivo dell'intelligenza. Resta fermo però che
anche questo elemento deve essere subordinato al seguente, cioè alla
conversazione affettuosa con Dio, che deve trovare nella meditazione il
fondamento e stimolo.
7.
Deve durare molto questo lavoro
dell'intelligenza?
La sua subordinazione alla
conversazione affettuosa, indica che deve durare solo quanto basta per condurre
l’anima a questa conversazione, cioè fino a produrre nell'anima un'attuale
convinzione di essere amata da Dio e invitata a riamarlo. Sarebbe tuttavia un
errore credere che possiamo interrompere o smettere la riflessione appena
sentiamo qualche pio affetto, che potrebbe subito svanire lasciandoci nel vuoto;
bisogna invece insistere alquanto, finché la volontà si sia sicuramente mossa,
cosi da poter rimanere almeno per qualche tempo nel suo atteggiamento
affettuoso.
8.
Questa riflessione deve essere fatta
“metodicamente”?
Si potrà farlo. Anzi santa
Teresa, seguendo in ciò altri autori contemporanei, consiglia nella meditazione
della Passione di Gesù di considerare: “Chi soffre? Che cosa soffre? Perché? Con
quali disposizioni?”. Non è però necessario che vi sia tanto ordine nel nostro
modo dì concate- nare gli argomenti, e si può senza danno passare con libertà da
un pensiero a un altro, purché conduca allo scopo di farci intendere meglio
l’amore di Dio per noi che si manifesta nel mistero meditato.
9.
Come faranno le anime che “non
possono meditare ”?
A queste anime che, per una
certa mobilità dell'immaginazione e dei pensiero hanno grandis- sima difficoltà
a fermarsi su un' idea determinata per approfondirla con riflessioni alquanto
ordinate, santa Teresa insegna un altro modo per concatenare alcuni pensieri che
eccitano l'amore. Consiste nel recitare molto lentamente una preghiera vocale
sostanziosa, fermandosi a considerare con attenzione il senso delle parole e
prendendone occasione per formare alcune riflessioni ed esprimere
affetti.
10.
Quando si inizia il colloquio
affettivo?
Può iniziarsi appena l’anima
ha potuto accendere in se stessa la viva convinzione di dover rispondere con
l'amore all'amore di Dio per lei. Tutto dipende quindi dalla facilità con cui un'anima si
mette in questa necessaria disposizione. Questa facilità poi si può acquistare
con la pratica.
11.
Che cosa si dice in questo
colloquio?
L'anima, principalmente,
esprime a Dio la sua volontà di amarlo e di dimostrargli il suo amore; prendendo
lo spunto da un mistero particolare, vi si riferirà in mille maniere e il
colloquio assumerà così le forme più varie. Si noti che l’anima può esprimere il
suo amore non solo alla santissima Trinità, ma anche direttamente a Gesù; e può
anche parlare affettuosamente con i Santi.
12.
In che modo si fa questo
colloquio?
Si può fare nel modo più
vario. Possiamo esprimere il nostro affetto con parole pronunciate vocalmente;
ma si può fare anche in un modo puramente “interiore”, cioè con espressioni del
cuore e della volontà. Queste espressioni possono essere brevi e succedersi con
una certa frequenza, oppure prolungarsi alquanto, non ripetendosi che a
intervalli abbastanza lunghi; anzi l’anima può anche contentarsi di fare
amorosamente compagnia a Dio.
13. La
conversazione deve essere continua?
Possiamo rispondere di sì
intendendo che l'anima debba rimanere in conversazione col Signore, ma non nel
senso che debba continuamente “parlare”. Anzi gli autori carmelitani inse- gnano
espressamente che da parte dell'anima, questa conversazione non deve essere
troppo verbosa o agitata, ma piuttosto pacifica e spesse volte interrotta, quasi
a permettere all’anima di ascoltare la risposta di Dio.
14.
Iddio parla in questo
colloquio?
Se noi fossimo soli
a parlare, il nostro non sarebbe un “colloquio”; d'altronde santa Teresa ha
insegnato che Iddio parla all'anima quando essa Lo prega di cuore. Non si deve
credere però che Dio faccia sentire la sua voce in modo materiale. Egli risponde
all'anima mandandole grazie di luce e di amore con cui l'anima stessa intende
meglio le vie di Dio e si sente maggiormente accesa ad entrarvi con generosità.
L'ascoltare dell'anima consiste quindi nell'accettare queste grazie e nel
fermarvisi cercando di approfittarne.
15.
Perché questo colloquio viene
chiamato “contemplazione”?
Perché nel momento in cui
parla con Dio e Lo sta ascoltando, l'anima non continua a ragionare come faceva
durante la meditazione, ma si accontenta di attendere in modo generale il
mistero che, con la meditazione, è arrivata a intendere meglio, oppure guarda
semplicemente Gesù o il Padre celeste con cui parla. In questo semplice, sguardo
si verifica la nozione tradizionale della “contemplazione” (semplice sguardo che
penetra nella verità). E siccome nel colloquio Iddio suole comunicare all’anima
la sua luce, anche sotto questo aspetto si verifica in esso, in qualche modo,
ciò che in un senso più pieno è proprio della vera contemplazione, cioè
un'infusione di luce celeste.
16.
Quanto può prolungarsi questo
colloquio?
Non vi sono limiti; può
occupare anche interamente il tempo dell'orazione. Anzi, la semplifica- zione
dell’orazione consiste proprio nel farsi più rare le riflessioni per dare
maggior posto agli affetti e nel prendere anche questi a poco a poco una forma
più quieta, con atti prolungati. Negli inizi però, non è facile per l'anima
fermarsi tanto tempo nella sola espressione del suo amore; perciò allora può
ricorrere agli ultimi atti dell'orazione, ossia al ringraziamento, all'offerta e alla
domanda.
17. Perché ringraziare
Dio?
Molti motivi spingono l’anima
ad esprimere la sua gratitudine al Signore. Da Lui abbiamo rice- vuto tanto,
anche personalmente, sia nell'ordine naturale che in quello soprannaturale!
L'essere nati da genitori cattolici e subito battezzati, l'essere stati educati
nella vera religione e special- mente l'aver ricevuto la vocazione allo stato
religioso, sono benefici gratuiti del Signore per i quali non potremo mai
ringraziarlo abbastanza. Ma poi, di quante grazie il Signore ci circonda
continua- mente! Anche lo stesso esercizio di orazione che stiamo compiendo è un
suo invito a penetrare maggiormente nella nostra vocazione. Di tutto dobbiamo
mostrarci riconoscenti. Aggiungete a ciò tutta la bontà del Signore verso le
persone per le quali dimostriamo interesse: i nostri cari, i nostri benefattori,
le persone affidate alle nostre cure! Possiamo infine ringraziare non solo il
Signore, ma anche Maria Santissima e i Santi per la loro intercessione in nostro
favore.
18.
Che cosa possiamo “offrire a
Dio”?
Avendo ricevuto tutto dal Signore, è lodevole da parte nostra offrirci
interamente a Lui, prote- stando di voler impiegare tutte le nostre forze al suo
servizio. Essendo poi la nostra santa profes- sione una consacrazione di tutta
la nostra vita a Dio, potremo anche opportunamente rinnovarla. Non bisogna,
tuttavia contentarci di queste offerte generali, che, per la loro
indeterminatezza, non esercitano sempre un grande influsso sul nostro modo di
agire. È bene perciò scendere a qualche proposito particolare e offrire al
Signore la nostra volontà di praticare una virtù determinata, di lottare
generosamente contro una tentazione, di accettare di cuore una prova o una
sofferenza. Con questi propositi particolari mettiamo l’orazione in maggiore
contatto con la nostra vita quoti- diana. Perciò è consigliabile per tutti
terminare l'orazione con un proposito pratico, anche se l’anima non fa la così
detta “offerta”.
19. Per chi bisogna
pregare?
La nostra grande indigenza ci
spinge a ricorrere continuamente alla preghiera. Gesù, avendo insegnato che
“senza di Lui non possiamo far nulla”, ha aggiunto: “ Domandate e riceverete,
bussate e vi apriranno”. Il nostro progresso spirituale dipende quindi
moltissimo dalla preghiera che perciò faremo con insistenza e fiducia. Dobbiamo
inoltre pregare anche per gli altri, per le loro necessità temporali e
spirituali, specialmente per la loro salvezza e santità. Ci interesseremo non
solo delle singole anime, ma anche della società cristiana, degli Ordini
religiosi, della nostra famiglia spirituale, della santa Chiesa. Sapendo però
che le anime care al Signore sono più potenti sul suo Cuore, desiderosi di
ottenere molto da Lui, cercheremo di renderci grati con una vita distaccata dal
mondo e diretta unicamente a cercare l'intimità con Lui. In questo modo l'anima
realizzerà l'ideale proposto da santa Teresa alle sue figlie, divenire un'amica
intima del Signore che si serve di questa amicizia per far scendere sul mondo le
grazie divine.
|
CAPITOLO
V
le
difficoltà dell' orazione
1. Quali sono le principali difficoltà che si
incontrano nell'orazione?
Siccome l'orazione consiste
nell'innalzare la propria mente a Dio, ossia nell'occuparsi di Lui col pensiero
e con l'affetto, le difficoltà nell'orazione sorgono da tutto ciò che impedisce
o rende più difficile questa duplice applicazione della nostra mente. Riguardo
alla conoscenza si incontrano le “distrazioni”, riguardo all'affetto le
“aridità”.
2.
Che cosa si intende per
“distrazione”?
Intendiamo per distrazione
l’inframmettenza, nell'orazione, di pensieri incompatibili con l'esercizio che
stiamo compiendo, i quali ci spingono ad
occuparci di altra cosa. Questa comparsa di pensieri estranei e anche
contrari al raccoglimento dell'intelligenza in Dio può avvenire in duplice modo:
volontariamente e involontariamente. Vi è grande differenza tra un modo e
l’altro.
3. In che cosa consiste la distrazione
volontaria?
La distrazione volontaria
consiste nell'introduzione voluta, o nella ammissione consentita, di pensieri
che fanno deviare la nostra intelligenza dall'oggetto divino in cui stava
occupata. Distraendosi volontariamente, l’anima sospende o almeno interrompe
l'orazione. Facendolo senza un sufficiente motivo, si rende anche colpevole di
irriverenza verso il Signore. Piuttosto che una difficoltà, la distrazione
volontaria nell'orazione è quindi una infedeltà. Se invece il pensiero
inopportuno che si presenta alla mente non viene accettato, la distrazione si
dice involontaria.
4.
Quali sono le cause delle distrazioni
involontarie?
Dobbiamo riconoscere una duplice causa: la prima
“occasionale”, la seconda “naturale”. La prima è costituita dalle
impressioni dei nostri sensi; la seconda dalle tendenze intime della nostra
natura, che generano in noi spontaneamente immagini e pensieri. Secondo la loro
origine, possiamo quindi distinguere le distrazioni in “esterne” e
“interne”.
5.
Si possono evitare le distrazioni
nell'orazione?
Le distrazioni esterne si
possono in gran parte evitare con l'attenta custodia dei nostri sensi e,
specialmente, scegliendo per pregare un luogo ritirato, come consiglia N. S.
Gesù Cristo nel santo Vangelo. Possiamo specialmente evitare molte distrazioni
causate dagli occhi, tenendoli chiusi, oppure fissandoli su di un oggetto
religioso o sullo stesso libro di meditazione. È molto più difficile evitare le
distrazioni interne.
6.
Donde viene questa speciale
difficoltà?
La particolare difficoltà di
evitare le distrazioni interne deriva dalla spontaneità delle tendenze naturali
che sono come il fondo intimo del nostro essere. Si manifestano con la facile
comparsa di immagini e di pensieri riguardanti le cose che amiamo, oppure
temiamo. Quando la nostra attenzione è fissa sull'oggetto della nostra
considerazione, questo mondo interno di tendenze spontanee rimane più o meno
nell'oscurità, ma appena diminuisce la forza dell'attenzione esso tende a farsi
vivo. Allora appaiono nella nostra coscienza pensieri e ricordi che possono
anche contrastare molto con l'atto dell’orazione che stiamo
compiendo.
7.
Si può ovviare alle distrazioni
interne?
Sì, è possibile, almeno in
certo modo, porvi rimedio, sia direttamente che indirettamente. La maniera di
resistere direttamente a queste distrazioni è di riportare deliberatamente la
nostra attenzione sull'oggetto religioso che stavamo considerando, o
semplicemente su Dio, facendo un atto di fede e di amore. Il modo indiretto è di
intensificare la nostra vita spirituale, la quale, facendosi più profonda,
acquista una nuova energia soprannaturale che solleciterà la tendenza attuale
della nostra mente verso Dio, contrastando le tendenze naturali distraenti. Si
intende che tale risultato non si raggiungerà molto presto, ma sarà il frutto di
una lunga applicazione alla vita spirituale.
8.
Le distrazioni interne sono forse, a
volte, “ inevitabili”?
Possono esserlo, appunto per
la loro spontaneità. Specialmente quando un'anima prova diffi- coltà nel fissare
la sua attenzione, le distrazioni interne possono essere molto irruenti,
insistenti e noiose. Questa difficoltà di fissare l’attenzione può derivare da
una causa accidentale, oppure da una disposizione abituale, come nel caso dì
certi temperamenti molto mobili. Se però l'anima con- tinua a provare dispiacere
nel vedersi distratta e fa quanto può per rimanere attenta a Dio, queste
distrazioni penose, lungi dall'essere nocive all'anima, si trasformano per essa
in uno strumento di purificazione morale e sono un' occasione di merito
soprannaturale.
9. Che cosa si intende per
aridità?
L'aridità è la soppressione
del conforto che l'anima prova sovente nella vita spirituale, specialmente nei
primi tempi dopo la sua conversione a una vita migliore. Infatti, l'anima che
prende coscienza di possedere una vita spirituale più intensa ne prova una certa
gioia, essendo legge psicologica che l'uomo goda quando sa di possedere un gran
bene. La vita spirituale intensa però non consiste in questo conforto e neppure
lo esige; anzi può esistere e svilupparsi fuori di ogni conforto, perché la vera
devozione consiste unicamente nella prontezza della volontà nel servizio di
Dio.
10. L'aridità è un
male?
L'entità morale dell'aridità
dipende dalla causa che la, produce. Se nell'anima sparisce il con- forto, ma
sussiste nella volontà la decisione di darsi tutta al Signore, lungi dall'essere
un male, l'aridità potrà essere occasione di bene. Se invece l'aridità deriva
dall'indebolimento della volontà, essa segna un regresso nella vita
spirituale.
11.
Vi sono quindi aridità
colpevoli?
Sì certamente, e seno quelle
che hanno origine dalla nostra infedeltà. Questa può essere maggiore o minore.
L'anima chiamata da Dio a una vita generosa e mortificata, che, dopo aver
corrisposto per qualche tempo, diventa gretta e si dà alla ricerca delle piccole
soddisfazioni umane, non è più fedele all'invito del Signore, ma perde il suo
fervore primitivo e rimane con la volontà indebolita. Molto più infedele però è
l’anima che cade nella tiepidezza commettendo a occhi aperti dei peccati
veniali. Naturalmente una tale anima non può esprimere con forza il suo amore al
Signore, appunto perché non è rimasta forte, e cade quindi nell'aridità. L'unica
via per rimediarvi è di correggersi, ritornando alla generosità
primitiva.
12. Vi sono aridità, che hanno cause
indipendenti dalla propria volontà?
Senza dubbio ve ne sono;
difatti le circostanze stesse in cui si svolge la vita umana sono occa- sioni di
aridità. Esse possono causare in noi un senso di disagio che ci priva di ogni
conforto ne- gli esercizi spirituali; stanchezza fisica e sonnolenza,
indisposizioni fisiche, preoccupazioni penose e assorbenti, piccoli urti e
incomprensioni sono in noi tante occasioni di pesantezza, di snerva- mento, di
oppressione che mettono lo spirito in uno stato penoso il quale toglie ogni
gaudio pacifico e tranquillo. In questa forma di aridità l’anima deve
pazientare, sapendo che sopportan- dola per amor di Dio offre a Lui un
gratissimo sacrificio il quale prova la realtà del suo amore.
13.
L'aridità può provenire anche da
Dio?
Certamente sì, e anche nel
caso precedente dobbiamo dire che l'aridità proviene da Dio poiché tutte le
circostanze della vita sono regolate dalla Divina Provvidenza. Ma talvolta la
soppressione del conforto che l'anima sente nell'orazione è più direttamente
opera di Dio, e precisamente quan- do Egli mette l'anima nell’impossibilità di
meditare con l'aiuto dell'immaginazione e di esercitarsi come prima in atti
sentiti di amore. Questo è un fenomeno molto comune nelle anime interiori dopo
qualche tempo di fervorosa applicazione alla vita di orazione. San Giovanni
della Croce insegna che con questa specie di aridità il Signore invita le anime
a una forma più semplice di orazione che egli chiama una “contemplazione
iniziale”.
14.
Come deve comportarsi l’anima in
questa aridità?
L'anima non deve insistere nel voler continuare la meditazione come
spesso si crede obbligata di fare; deve invece tralasciarla semplicemente e
applicarsi a rimanere tranquilla alla presenza di Dio, attendendo a Lui con un
semplice sguardo di fede e desiderando a ogni costo di fargli piacere. A poco a
poco questo sguardo di fede si farà più facile e più amoroso e da uno stato di
penosa aridità, l'anima passerà gradualmente a un pacifico riposo in
Dio.
15.
Come può l’anima sapere che la sua
aridità proviene da Dio?
Segno che l’aridità proviene
da Dio è che in essa l'anima persevera ad applicarsi alle virtù e agli esercizi
di devozione, pur non provandovi altro che disgusto. Naturalmente, essendo in
questo tempo l'esercizio delle virtù molto più difficile, l'anima vi riesce
meno; ma gli sforzi ripetuti dimo- strano che la sua volontà è rimasta decisa.
Simile aridità non procede quindi da una colpevole debolezza di volontà, ma è
opera del Signore.
16.
Quale scopo ha Dio nel mandare
l’aridità all’anima?
Con questa prova Iddio
intende liberare l'anima dalle fanciullaggini della sensibilità, per
trasportarla sul piano più puro e più solido della volontà. Infatti, non
trovando più alcun pasto per la sua vita spirituale tra le belle
rappresentazioni e le dolci emozioni di prima (quando tutto le andava bene),
l'anima si vede costretta ad aggrapparsi con la volontà agli esercizi di fede e
di amore. Essendo questa anche la volontà di Dio, l'opera della grazia viene
incontro allo sforzo dell'anima, la quale farà indubbiamente grandi progressi
nella sua vita spirituale che diverrà, molto più “sostanziosa” di prima.
L'aridità mandata dal Signore oltre che una prova è quindi una grandissima
grazia, alla quale l'anima, lungi dallo scoraggiarsi, deve cercare di
corrispondere con generosità.
|
CAPITOLO
VI
la
presenza di Dio
l.
Che cosa è la presenza di
Dio?
La presenza di Dio è un
esercizio di vita spirituale destinato a mantenerci in contatto con Dio nelle
nostre varie occupazioni quotidiane. Esso è, si può dire, un'orazione mentale
che si prolunga durante l'intera giornata. Come l’orazione mentale, essa è
composta di un duplice elemento: pensiero e affetto; si tratta infatti dì
pensare a Dio e di tenere l’affetto orientato verso di Lui.
2.
Quale è l’elemento principale della
presenza di Dio?
L'elemento principale non è
il pensiero, come molti credono, bensì l'affetto, come nell'orazione mentale: il
pensiero serve a orientare il cuore, ossia la volontà, verso Dio; ma con la
volontà poi l'anima si unisce più intimamente al Signore e indirizza a Lui tutto
il suo operare. È del resto più facile rimanere lungamente in contatto con Dio
per mezzo della volontà che non con l’intelletto.
3.
Onde proviene questa
differenza?
La differenza
nell'applicazione dell'intelletto e della volontà deriva dal fatto che
praticamente non è possibile pensare a Dio in modo ininterrotto dato che, spesse
volte, le nostre occupazioni richiamano tutta la nostra attenzione, e che non
abbiamo la possibilità di pensare contempora- neamente a due cose diverse.
Invece, anche mentre l'intelligenza è interamente occupata nel lavoro che stiamo
compiendo, il cuore può rimanere orientato verso il Signore perché, anche se il
lavoro per sua natura fosse distraente, potremmo sempre farlo per Lui, per
compiere cioè la sua volontà e per glorificarlo.
4.
Come terremo orientato più facilmente
il nostro cuore verso Dio?
Possiamo farlo alimentando
direttamente l'affetto con piccoli esercizi affettivi come sono le orazioni
giaculatorie, le pie invocazioni, l'offerta delle nostre azioni, le domande di
aiuto celeste, ossia per mezzo di brevissime conversazioni con Dio in cui Gli
manifestiamo il nostro amore e la nostra fiducia. Questo però non ci sarà
possibile se il pensiero del Signore non si presenterà spesse volte alla nostra
mente.
5. C'
è un
modo per richiamare frequentemente il
pensiero di Dio alla nostra intelligenza?
Vi sono per questo vari
metodi; anzi le diverse “forme” dell’ esercizio della presenza di Dio vengono
abitualmente distinte secondo i mezzi usati per richiamare il pensiero di Dio
alla mente. Cosi distinguiamo la pratica della presenza di Dio “esterna”, quella
“immaginaria”, e quella “intellettuale”.
6.
In che cosa consiste
la pratica della presenza di Dio
“esterna”?
Consiste nel servirci di un oggetto a noi esterno per pensare
frequentemente al Signore. Un crocifisso che portiamo sempre con noi,
mettendocelo dinanzi durante il lavoro, baciandolo, venerandolo, terrà vivo in
noi il ricordo di N. S. Gesù Cristo e ci darà occasione di parlare
affettuosamente con Lui. Così pure il ricordo della presenza eucaristica nella
Cappella della casa che abitiamo, alla quale ritorniamo continuamente col
pensiero, può giovare moltissimo a mantenerci in contatto col Signore e a far sì
che ci tratteniamo con Lui. Lo stesso si dica di pie immagini,
ecc.
7. In che cosa
consiste la pratica della presenza di Dio
“immaginaria”?
Questa pratica consiste nel
rappresentarci con l’immaginazione che il Signore, la Madonna o qualche Santo
sia molto vicino a noi e ci accompagni dappertutto; noi cerchiamo di rivolgerci
ad essi con brevi parole spontanee oppure con qualcuno dei diversi esercizi
affettivi cui abbiamo sopra accennato. Non tutte le persone però riescono bene
in questo modo di praticare la presenza di Dio, che richiede una immaginazione
vivace e un'intera padronanza di essa.
8.
Una tale rappresentazione non manca
forse di verità?
In nessun modo, perché se la
santissima Umanità di Cristo, o la Madonna, o i Santi non ci sono fisicamente
presenti, sono tuttavia presenti spiritualmente, per la ragione che i Santi e la
Madonna ci vedono nell'essenza divina che contemplano e così sono in relazione
con noi, e che l’Umanità di Cristo esercita su di noi un influsso anche fisico
nella comunicazione della grazia. Questa relazione “spirituale” noi possiamo
benissimo “rappresentarcela” immaginando di essere in compagnia del Signore o
dei Santi.
9. Possiamo quindi fare 1'esercizio della
presenza dì Dio anche rivolgendoci ai Santi?
Sì, evidentemente; perché anche il ricordo della Madonna e dei
Santi giova a orientare il nostro cuore e le nostre azioni verso il Signore, e
in questo orientamento della volontà consiste l'elemento più sostanziale della
presenza di Dio.
10.
Che cosa è la pratica della presenza
di Dio “ intellettuale”?
La pratica della presenza di
Dio “intellettuale” è quella con cui richiamiamo alla mente il ricordo dì Dio
mediante un pensiero di fede. L'anima, ricorda per es. la presenza continua
della santissima Trinità in lei e cerca di piacere agli Ospiti divini; oppure
considera come i suoi doveri siano per lei manifestazione del volere divino e si
unisce continuamente a questa divina volontà; con la luce soprannaturale “vede”
che tutte le circostanze della sua vita sono disposte dalla divina Provvi- denza
e ripete al suo Padre celeste: “Sono contenta di tutto”; oppure, sapendo che Dio
la vede sempre, cerca di fare ogni cosa nel modo che può renderla più gradita
allo sguardo divino, ecc.
11.
Quale è la forma migliore
dell'esercizio della presenza di Dio?
La forma migliore di questo
esercizio è quella che ci va più a genio e ciò non si determina “a priori” o col
ragionamento ma con l’esperienza. Si noti tuttavia, che nella pratica presenza
di Dio non dobbiamo attaccarci in modo esclusivo a una forma determinata ma
possiamo benissimo variare secondo le circostanze. Abitualmente, però, dobbiamo
preferire una forma particolare di questo esercizio e sceglieremo quella che a
noi si è dimostrata più utile. Possiamo quindi usare anche qui di una santa
libertà.
12. L'esercizio
della presenza di Dio sì può unire alle azioni naturali più comuni e anche a
quelle che ci sono di sollievo?
Indubbiamente; troveremo anzi
in questo esercizio il modo più pratico per santificare queste azioni. Anche
mangiando possiamo innalzare il nostro cuore a Dio e invece di cercare soddisfa-
zione, studiarci di farlo con una santa indifferenza allo scopo di restaurare le
nostre forze per riprendere con maggiore decisione il servizio di Dio. E san
Paolo lo insegnava: “Sia che mangiate, sia che beviate fate tutto a gloria di
Dio”. Lo stesso si dica delle nostre ricreazioni che dobbiamo offrire al
Signore, avendo in esse lo scopo di acquistare nuove energie che impiegheremo
per la sua gloria. Anzi dobbiamo ordinare a questo fine lo stesso riposo al
quale dobbiamo prepararci facendone esplicitamente l'offerta al Signore. Così
l'esercizio della presenza di Dio ci permetterà indubbiamente di vivere
nell'intera giornata la nostra vita di amore.
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